martedì 14 agosto 2018

Saper sentire, senza "mentalizzare", le molecole di emozioni


Uno degli atteggiamenti più diffusi in un mondo di ambite certezze è la tendenza a cercare verità, soluzioni, generalizzazioni per saziare dubbi e domande senza risposta.
 
E la soluzione più facile può essere il ricorrere a citazioni altrui a cui aggrapparsi per individuare una strada da intraprendere per credere di credere qualcosa di certo.
 
Ma quanto ci interessa sentire nel profondo ciò a cui decidiamo di credere?
 
Quanto "sentiamo" nelle nostre cellule sensazioni, emozioni, sentimenti o quanto stiamo concettualizzando queste molecole di sensazioni, emozioni, sentimenti?
 
Che cosa accadrebbe se ci permettessimo di sentire fisicamente quello che stiamo vivendo, smettendo di anestetizzarci?
 
Considerando primarie queste 6 emozioni: paura, rabbia, gioia, tristezza, disgusto, sorpresa e composte emozioni come la vergogna, la colpa, l'invidia, la gelosia, molto spesso ricorriamo ad atteggiamenti di rifiuto verso gli altri, in primis verso noi stessi, per evitare (appunto) di sentire.
 
E in seconda battuta dopo il rifiuto ricorriamo al ri-sentimento, ovvero ci risentiamo, per non sentire che qualcosa in noi vuole essere sentita per essere riconosciuta e semplicemente accolta, riconosciuta, ancor prima di essere trasformata e integrata, ovvero resa integra all'interno dell'organismo in cui si è sviluppata.
 
La reazione comune per chi ricorre a una presa di coscienza artefatta è "mentalizzante" nel ricorrere a concetti astratti che incapsulano il sentire in cassetti in cui l'anima viene sequestrata senza via di scampo per la propria evoluzione.
 
Fallace come crescita? Non del tutto. Può comunque rappresentare un territorio intrigante da esplorare laddove chi lo esplora sia disposto prima o poi ad addentrarsi nei meandri dei propri pozzi interiori.
 
Purché la sete di conoscenza non nasconda la fame d'Amore!
 
 
 
Nicoletta Ferroni,

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