POSTFAZIONE di Dario Tordoni al romanzo autobiografico di Nicoletta Ferroni, ATTILA, LA LUCE ED IO
Cosa accomuna un poeta esistenzialista morto suicida negli anni Trenta del Novecento e una “consulente in crescita personale” del XXI secolo? Apparentemente nulla. Eppure il romanzo di Nicoletta Ferroni ci guida oltre le facili classificazioni e schematizzazioni alle quali siamo abituati, per aprirci ad una prospettiva inconsueta, ad uno sguardo “altro”. Il periodo in cui si trovò a vivere e a scrivere Attila József è stato uno dei più tragici della storia umana, e l'Arte, quella con la A maiuscola, sorge inevitabilmente in un preciso contesto, ma allo stesso tempo getta un ponte verso una dimensione che travalica le contingenze della storia, ponendosi come perennemente inattuale e per questo sempre valida, sempre attuale per chi, con attenzione, vi si avvicina per prestarle ascolto. Gli studiosi che se ne occupano, che ne siano consapevoli o meno, non fanno altro che decodificare, ritradurre, nel linguaggio comprensibile alla loro particolare umanità storica, sia quel che nell'opera d'arte è celato, sia quanto vi si è sedimentato. Ed è questo il compito che si prefigge anche Cristalia, (...)
Quindi è in qualche modo emblematico che l'incontro con la poesia abbia instradato Cristalia sul percorso che l'avrebbe poi condotta ad essere una terapeuta; e non a caso l'autrice ha scelto il nome “Cristalia”, che, se da un lato rimanda per vaga assonanza alla crisalide, stadio sottinteso nella metamorfosi e quindi nella rinascita, dall'altro significa “che brilla come il cristallo”, implicando così, sia la brillantezza della luce che l'immagine della trasparenza e dell'auto-trasparenza, e quindi della consapevolezza di sé. La vicenda si configura allora come un percorso di guarigione che, partendo dal fulcro costituito dal dialogo tra la protagonista ed Attila, va poi ad avere ricadute su una serie di figure di contorno, interconnesse da questo filo che si dipana nel corso di tredici anni, tra il suo paese d’origine e l'Ungheria. (...)
Tra queste figure la più significativa è, probabilmente, la donna amata dal poeta nei suoi ultimi mesi di vita: Flora, che forse non si è mai perdonata del tutto per non essere riuscita a “salvarlo”. Con la morte di Flora il testimone passa a Cristalia che, portando luce alle zone d'ombra che ha in comune con Attila, e curando se stessa, finirà per “curare” il poeta stesso - come inscenato nella catartica lettera immaginaria di József Attila alla madre - per poi congedarsi da lui. (...)
Ma il congedo implica che Cristalia abbia metabolizzato la grande lezione di Attila e della sua Poesia: l'intimo amarsi del cielo e della terra, della luce e dell'ombra, di vita e morte, dell' “io” con il “tu”, in una compenetrazione apparentemente labirintica, ma vitale e dinamica, riflesso di quel Tutto di cui noi siamo manifestazioni; ed è proprio verso questo che additano i poeti, giacché “c'è bisogno dello splendore delle menti / che manifestandosi orienti.”
TRATTO DA ATTILA, LA LUCE ED IO (formato e.book nel 2015 - in vendita su Amazon https://www.amazon.it/Attila-Luce-Io-grande-Danubio-ebook/dp/B016LD71KQ
e formato cartaceo nel 2018 . in vendita
al Giardino dei libri https://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__attila-luce-io-nicoletta-ferroni-guizzardi-libro.php?id=154207
e su Macrolibrarsi: https://www.macrolibrarsi.it/search/?search3=attila+la+luce+ed+io